L’arte di interrogare la mente

di Flaminia Fazi

Nel cuore di ogni interazione umana finalizzata alla comprensione e alla crescita vi è un elemento fondamentale troppo spesso sottovalutato: la profonda e stratificata dinamica della mente umana.

Un concetto cruciale che funge da base per la formulazione di domande realmente efficaci e capaci di aprire uno spazio di comprensione profonda: quando ci si relaziona con una persona per ottenere risposte, si innesca uno scambio a livello mentale e su più livelli. È proprio all’interno di questo “sistema mente” che risiedono non solo le risposte, ma anche i “filtri di ascolto” che determinano gli esiti di qualsiasi esplorazione attraverso domande.

Comprendere questa realtà intrinseca alla cognizione umana è un prerequisito indispensabile per chiunque miri a eccellere nell’arte di fare domande, e di certo per coach che guidano i clienti verso la scoperta di sé o manager che cercano di stimolare performance e collaborazione.

La psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, “psicologia della forma” o “rappresentazione”) sottolinea che il modo in cui organizziamo le nostre esperienze mentali dipende fortemente dal contesto in cui si verificano. Analogamente a come l’organizzazione dello spazio fisico è influenzata dal contesto, anche il nostro mondo mentale interno è plasmato dall’ambiente fisico, dal nostro stato mentale e dalla nostra storia. Secondo la Gestalt, che si basa sull’assunto che “l’intero è sempre maggiore della somma delle sue parti”, è fondamentale considerare l’importanza dell’organizzazione, del contesto, delle relazioni e delle caratteristiche emergenti nelle rappresentazioni mentali.

Questo significa che la mente non si limita a raccogliere informazioni singole, ma le organizza in schemi significativi e interi unificati, anziché come una semplice collezione di parti separate. Questa organizzazione segue specifici criteri mutuati dall’esperienza percettivo-sensoriale della realtà, che spesso operano simultaneamente.

In sintesi, le dinamiche di costruzione individuate dalla Gestalt sono:

  • La segregazione della figura dallo sfondo, che descrive come la percezione visiva di più elementi li organizzi su un piano di profondità, permettendoci di distinguere gli oggetti dal contesto in cui sono inseriti.
  • La vicinanza, che si riferisce alla tendenza a raggruppare elementi che sono fisicamente vicini, percependoli come appartenenti a un insieme.
  • La somiglianza, che ci porta a raggruppare nello stesso insieme elementi che condividono caratteristiche simili.
  • La continuità, un principio per cui tendiamo a percepire gli oggetti come linee o forme continue, anche se interrotte o incomplete, riconoscendo schemi e forme anche dove potrebbero non corrispondere allo stato reale delle cose.
  • La chiusura, ovvero la tendenza a completare mentalmente forme o motivi incompleti, riempiendo le informazioni mancanti per percepire una forma o un modello completo.
  • La simmetria o buona forma, che indica la preferenza nella percezione per ciò che ha una “buona forma”, rispondente a criteri di semplicità, simmetria, equilibrio, coerenza e regolarità, e che ci fa percepire gli oggetti come piacevoli o armoniosi.

Inoltre, la Gestalt suggerisce che, in condizioni di normale sviluppo mentale, una persona tende a costruire la propria rappresentazione interna del mondo:

  • Preferendo ciò che si manifesta come ordinato e piacevole.
  • Raggruppando gli elementi in schemi significativi basati su somiglianza, vicinanza e continuità.
  • Avendo la capacità di cogliere l’emergenza di schemi e strutture, generando nuove intuizioni e prospettive in base a come gli elementi sono organizzati e correlati.
  • Riconoscendo le caratteristiche invarianti, coerenti in diversi contesti, e generalizzando a nuove situazioni in base a quelle pregresse.

Questi criteri influenzano profondamente i modelli mentali soggettivi del mondo, dando senso all’esperienza e condizionando l’interazione con essa.

Per i coach: navigare nel paesaggio mentale del cliente

Per un coach, il “sistema mente” del cliente è il territorio principale di esplorazione. Le risposte che un cliente fornisce non sono semplici fatti o dati oggettivi, ma sono profondamente plasmate dalla sua “rappresentazione soggettiva della realtà”: ogni persona costruisce il proprio mondo interno attraverso esperienze e apprendimenti unici, ottenendo una rappresentazione interna assolutamente originale.

Quando un cliente dice “sono bloccato”, la sua affermazione non è solo una descrizione superficiale, ma il risultato di un complesso intreccio di pensieri, emozioni, credenze e percezioni che agiscono come “filtri di ascolto” e di elaborazione. Un coach efficace sa che la qualità della risposta dipende dalla qualità della domanda. Pertanto, non basta chiedere “Cosa ti blocca?”, ma è necessario formulare domande che tengano conto di questi livelli multipli della mente.

  • Identificare i “filtri di ascolto”. Il coach deve riconoscere che il cliente interpreta le domande attraverso le proprie lenti uniche. Questi filtri possono includere pregiudizi cognitivi, esperienze passate, convinzioni limitanti o stati emotivi. Domande efficaci possono aiutare a smascherare questi filtri e permettere al cliente di accedere a una comprensione più profonda di sè.
  • Promuovere uno “scambio a più livelli”. Invece di limitarsi a ottenere risposte superficiali, il coach mira a stimolare una riflessione che vada oltre quanto già elaborato dalla mente e che arrivi a coinvolgere la persona a livelli più profondi e non solo verbali. Le domande potenti, ad esempio, sono progettate per attivare processi di pensiero più articolati e coinvolgere il cliente attivamente nella risoluzione dei problemi. Questo consente al cliente di esplorare nuove prospettive e generare insight autonomamente.
  • Costruire la consapevolezza. L’obiettivo finale non è solo ottenere una risposta, ma permettere al cliente di diventare più consapevole della propria “struttura profonda dell’esperienza”. Le domande giuste portano il cliente a riflettere sulle proprie convinzioni e processi di pensiero, costruendo una maggiore autoconsapevolezza.

Per i manager: sbloccare il potenziale del team

Anche nel contesto manageriale, la capacità di interrogare la mente dei collaboratori a più livelli è fondamentale: le loro risposte durante una riunione, un feedback o una sessione di brainstorming sono influenzate dai loro “sistemi mentali” e “filtri” individuali. Un manager che ignora questa complessità rischia di ricevere risposte standardizzate, incomplete o fuorvianti, perdendo l’opportunità di sbloccare vero potenziale e risolvere problemi in modo innovativo, stimolando autonomia e efficacia.

  • Superare il “mito del dire”. Molti leader cadono nella trappola del “mito del dire”, credendo che rispondere con le proprie idee e soluzioni e dimostrare di sapere tutto sia necessario per legittimare il loro ruolo. Tuttavia, l’esperienza mostra che “domandare con cognizione è una dimostrazione ben superiore del sapere e di competenza rispetto al semplice dire”: un manager che fa domande efficaci incoraggia la partecipazione attiva e la responsabilità.
  • Comprendere le “dinamiche di costruzione”. I collaboratori, come tutti gli esseri umani, costruiscono la loro rappresentazione della realtà basandosi su esperienze, aspettative, valori e persino pregiudizi interni. Un manager deve saper formulare domande che esplorino queste dinamiche, per capire non solo “cosa” sta accadendo, ma “perché” un collaboratore percepisce una situazione in un certo modo o reagisce in una data maniera. Questo porta a una migliore comprensione reciproca e delle situazioni e a soluzioni più adatte.
  • Filtrare le “informazioni incomplete”. La mente, per risparmiare energia, opera continuamente generalizzazioni, cancellazioni e deformazioni delle informazioni nella costruzione della rappresentazione interna del mondo. Questo può portare i collaboratori a fornire risposte incomplete o distorte, magari per accondiscendere la volontà percepita del capo. Il manager deve imparare a porre domande che recuperino i dettagli mancanti o sfidino le generalizzazioni, ottenendo così un quadro più accurato della situazione e riuscendo a individuare come intervenire.

La base comune: curiosità e ascolto profondo

Sia per i coach che per i manager, la capacità di accedere e navigare la “rappresentazione soggettiva della realtà” dei loro interlocutori si fonda su due pilastri interconnessi: la curiosità autentica e l’ascolto attivo. Una vera curiosità spinge a esplorare oltre la superficie, mentre l’ascolto attivo permette di cogliere non solo le parole, ma anche i messaggi impliciti, le emozioni e le dinamiche non verbali che rivelano come la mente dell’altro sta elaborando la realtà.

In definitiva, ogni domanda è un invito a uno scambio mentale profondo. Per ottenere risposte di qualità e guidare efficacemente il cambiamento o il progresso, è essenziale riconoscere e rispettare la complessità del “sistema mente” dell’interlocutore e i “filtri di ascolto” che ne modellano le risposte. Questo è il vero fondamento per trasformare una semplice domanda in uno strumento potente di comprensione, crescita e innovazione.

 


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